1 giugno 2009

De Gubernatis.


LUGLIO 2016

Angelo De Gubernatis era nato a Torino nel 1840. Morì a Roma nel 1913.
Dopo la laurea conseguita a Torino, si trasferisce a Berlino, dove segue studi di sanscrito e glottologia comparata, per i cui insegnamenti gli viene, successivamente, affidata una cattedra a Firenze.
Nel 1890, si trasferisce a Roma, dove insegna sanscrito e letteratura italiana.
Fu grande studioso dell’India. Il Museo Antropololgico di Firenze conserva le sue donazioni: reperti archeologici raccolti durante i suoi viaggi in India.
Sposò Sofia Berobrasova, cugina di Bakunin.
Nel maggio 1878, fu invitato a tenere delle lezioni alla TAYLORIAN INSTITUTION di Oxford, alcune dedicate ad Alessandro Manzoni.
Ad un certo punto, così racconta:
Le uscite manzoniane erano tutte impensate e quasi sempre felici. Lo stesso imbarazzo che il Manzoni provava talora nell’esprimersi, poiché qualche volta e ne’ momenti per l’appunto che egli aveva una maggior fretta di parlare, gli accadeva di balbettare, aggiungeva una nuova forza alle parole che uscivano poi come palle esplodenti. E sopra quel suo difetto organico egli aveva preso la buona abitudine di ridere il primo, per toglierne la volontà ed il pretesto agli altri.
La balbuzie di Alessandro Manzoni -scrive Antonio Stoppani- non era una balbuzie di genere comune come sarebbe quella, per esempio, consistente in una specie di sincope momentanea dell’organo vocale… Il Manzoni non era nemmeno di quelli che vanno soggetti a quella specie di paralisi mentale momentanea, per cui la parola, benché comunissima, rifiuta di presentarsi nell’istante, in cui si ha bisogno di proferirla. “Io, diceva il Manzoni, la parola la vedo; essa è lì; ma non vuole uscirmi dalla bocca”. Quando era in questo caso, troncava improvvisamente il discorso. “Se la si lascerà dire”, soggiungeva l’illustre paziente: e dopo questa specie di scongiuro, pronunciava senza difficoltà quella parola che prima s’era rifiutata assolutamente a pigliar forma sensibile nella sua bocca. Avendo Don Giovanni Bèttega, ora parroco di Anzano, avuto occasione di presentargli, Alessandro Manzoni, giocando di parole sul cognome di quel bravo ecclesiastico che, pronunciato lungo, in dialetto lombardo vuol dire balbetta: “Lei, disse, ha il nomen ed io l’omen”. Nella lettera che scrisse al Briano per rinunciare alla deputazione, il Manzoni fece pure allusione alla sua balbuzie; ad un amico poi che gli domandava perché non aveva voluto esser deputato, egli, scherzando, rispondeva: “Poniamo il caso che io volessi parlare e mi volgessi al presidente per domandargli la parola, il presidente dovrebbe rispondermi: - Scusi, onorevole Manzoni, ma a lei la parola io non la posso dare.”.
Ma non è qui il luogo di raccogliere aneddoti, tanto più che il loro numero, se gli amici del Manzoni superstiti vorranno ricordarli e parlare, può divenire infinito. Ho qui solamente toccato di un difetto fisico del Manzoni solamente per mostrare come anche da esso il Manzoni abbia saputo trovar nuovo alimento alle sue inesauribili arguzie”.
Alessandro Manzoni era morto nel 1873. Nel 1874, Giuseppe Verdi gli dedicherà la famosa Messa da Requiem.
La conoscenza della balbuzie era, a quei tempi, un po’ scarsa, o, quanto meno, il dotto De Gubernatis non ne era ben informato sul piano scientifico. Ma è molto interessante questo approccio alla balbuzie, basato sull’ironia e autoironia. Che, del resto, troverà conferma nei successivi studi che la psicologia ha fatto sull’umorismo.
Quindi, dalla balbuzie il Manzoni “ha saputo trovar nuovo alimento alle sue inesauribili arguzie”. E’, cioè, un’energia, che lui trae dalla balbuzie. Ma la balbuzie stessa è un’energia. Un’energia non dominata, non veicolata. E’ da quell’energia che si attinge la capacità, la possibilità, di curare e superare la balbuzie.Del resto, il Manzoni non accettò la carica di Deputato del Regno d’Italia (offertagli honoris causa), portando a motivazione del suo rifiuto anche la balbuzie. Ognuno reagisce come meglio crede. In quella circostanza, non ha dato prova di grande energia. Certo, se la motivazione fosse stata più forte non si sarebbe tirato indietro.
Stando al racconto della Bibbia, anche Mosè obiettò a Dio che la balbuzie gli avrebbe impedito di essere un buon capo per il proprio popolo, e che forse era meglio scegliere qualcun altro. Ma Dio non lo ascoltò, confermandogli l’incarico. E lui accettò. Non si sa se per libero arbitrio, oppure perché a certe decisioni è impossibile sottrarsi.
Vi sentite più vicini al Manzoni o a Mosè?
Domanda sciocca, certo. Ma meno di quanto sembra.